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Immagine del redattoreMario Marti

Tiki e dintorni: storia dei tiki in Italia

Aggiornamento: 12 feb 2023


Digressione: dove si racconta un po' di storia dei tiki in Italia, tra spiagge romagnole e congreghe di carbonari, e si fa una doverosa incursione nel mondo dei monoscafi.


La storia dei catamarani italiani è lunga e bella, nasce in Romagna oltre 40 anni fa. Erano pervenuti in Italia da oltre oceano alcuni esemplari di Hobie 16, assieme agli Shearwater inglesi e agli Exocet francesi.


Questo nuovo modo di navigare sportivamente, a velocità impensabili fino allora e, tutto sommato, comodamente, non poteva non destare curiosità in Romagna, dove la velocità era (ed è) un culto, le brezze termiche sono una costante e le lunghissime spiagge consentono atterraggi e partenze in sicurezza.


Ma c'è di più: la Romagna poteva contare su un consolidato know-how, poiché costruiva già i pedalò, imbarcazioni a due scafi di vocazione turistica spinte a pedali o a remi, che permettevano a intere famiglie di fare il bagno a qualche distanza dalle affollatissime rive.


Ad intuire le potenzialità del nuovo mercato furono tra i primi Corrado Sirri e Giorgio Pirini di Cesenatico, e Lallo Petrucci di Bellaria, gli ultimi due titolari rispettivamente di Cantiere nautico e di una ditta specializzata nella produzione di strutture inox per alberghi. Dopo le incertezze dell'avvio l'impresa partì anche grazie al supporto costante dato dalla Congrega Velisti di Cesenatico, covo di carbonari (così erano visti allora i fans dei poliscafi) che discutevano, proponevano, provavano, consentendo così di mettere a punto un prodotto che avesse le caratteristiche di costo, sicurezza e fruibilità richieste dal mercato interno ed estero.

Le doti di velocità e affidabilità del catamarano vennero definitivamente riconosciute grazie ad un'impresa che fece epoca: un gruppetto di quattro "congregati", Massimo Nicolini, Pino Montacuti, Claudio Conti e Bruno Bisacchi, partirono da Cesenatico in una notte di ottobre del 1974 per traversare l'Adriatico ed atterrare il giorno successivo a Crikvenica, in Jugoslavia: la dimostrazione che il catamarano era una barca "vera" era stata inoppugnabilmente data.


Alcuni costruttori si fermarono alla creazione di un mezzo robusto e facilmente commerciabile, altri si dedicarono alla ricerca di costanti miglioramenti nelle forme, alla limatura dei pesi, all'ottimizzazione del complesso scafo-albero-vela e crearono barche stupende e vincenti: tra questi Michelangelo “Lallo” Petrucci. Il suo palmarès di successi italiani, europei, mondiali, è impressionante; ma la vetta è stata raggiunta in due occasioni: nei primi anni 2000 un 18 piedi hi-tech (carbonio, composito, autoclave), viene giudicato e nominato da una giuria internazionale "Barca dell'anno"; questo avviene negli Stati Uniti, notoria- mente mercato difficilissimo per i catamarani europei.


La stessa barca sarà così apprezzata da costituire il mezzo sul quale correre negli anni successivi la Piccola Coppa America, il massimo avvenimento sportivo del settore, nel quale Petrucci coglie la seconda occasione: dopo la sfida del 2003, nella quale gli Americani vincono per 4 a 3, finalmente, nel 2004, si aggiudica la prestigiosissima Coppa, un sogno inseguito da vent'anni.

Dell'equipaggio faceva parte Massimiliano “Max” Sirena, che in questa storia rappresenta il presente ed il futuro. Max nasce e cresce assieme ai catamarani, ma ha la bravura necessaria per tenere i piedi in due staffe: (e li tiene ai massimi livelli): vince nel 2004 con lo HT 18 di Petrucci; prende parte a tre edizioni della Coppa America a bordo di Luna Rossa, monoscafo con cui vince nel 2000 la Louis Vuitton Cup;nel 2007 partecipa , con Russel Couts, in posizione preminente, alla creazione del BMW Oracle Racing Team e nel 2010 vince la 33a edizione della Coppa America con Usa 17, trimarano, della cui vela alare è responsabile. L'anno successivo si afferma, skipper di Luna Rossa, nel Circuito Extreme 40; nel 2013 è il Velista dell'anno Tag Heuer.


Ma la storia romagnola della nautica a vela sarebbe incompleta senza un accenno ai monoscafi: a rappresentare il passato, in questa breve incompleta rassegna è un grandissimo, caro ai nostri cuori vissuti: Cino Ricci.


Negli anni ‘60, la situazione economica italiana era apprezzabile (nel ‘58 la lira aveva vinto l'Oscar per la migliore moneta) ed i successi sportivi di Cino, tra cui una memorabile Middle Sea Race, in sintonia con l'affermazione di nuovi progettisti prevalentemente francesi, diedero l'avvio ad una primavera della cantieristica italiana: nacquero, sull'onda dell'entusiasmo e dell'innovazione, grandi Cantieri tra cui Comar e Del Pardo e molti minori.

Assieme all'avvocato Gianni Agnelli (l'Avvocato tout court) mette a punto la prima partecipazione italiana alla Coppa America, e nel 1983, lui skipper, Mauro Pelaschier timoniere, la barca italiana forse più amata, Azzurra, arriva in semifinale.


Dopo una successiva sfida meno fortunata diviene organizzatore (e sembra questo il ruolo in cui riesce meglio, grazie ad una totale concretezza, all' equilibrato senso del denaro e ad una capacità organizzativa eccezionale) del Giro d'Italia a Vela, una manifestazione sportiva molto apprezzata che per 22 anni sarà il motivo conduttore delle nostre estati; tra un impegno e l'altro riesce a dare vita alla progettazione ed esecuzione, nel 1988, di 22 Marina lungo la costa jugoslava, per conto dello Adriatic Club Jugoslavia.


Questo lavoro gli farà da pass per la creazione, l'anno successivo, della Scuola di Vela Nazionale, commissionatagli dallo Stato jugoslavo. Esperienze importanti come queste lo portano a diventare consulente, sia per privati che per il Ministero dei Trasporti e Navigazione, in relazione alla costruzione di porti e Marina, con particolare riguardo al fattore sicurezza.


Che cosa ci porterà il futuro?



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