Una settimana su "Flow"
Quando i miei amici di Facebook hanno visto le foto, l'hanno chiamata “astronave”. Interni romboidali grigi, niente cabine, niente tavolo, enormi tubi che attraversano trasversalmente il quadrato (ballast), un imponente cubo grigio al centro dello scafo con i vari “cervelli”: GPS, AIS, DSC, PLB, EPIRB e tante altre sigle.
Chissà quanti pannelli solari avrà questa barca – mi domandavo – per alimentare tutti questi apparati. Invece no. Le batterie sono ricaricate da un semplice idrogeneratore. Quando l'ho visto credevo che fosse un piccolo motore fuoribordo elettrico, tipo quelli dei tender, ma poi ho realizzato che si trattava di un'elica che serviva a generare elettricità mentre la barca andava a vela.
A impianto elettrico prorompente, corrisponde un impianto idraulico inesistente: niente lavandino, nessun rubinetto, nessun serbatoio di acqua dolce. Come si fa a cucinare? Semplice, con la pentola a pressione! Un litro di acqua minerale, butti la pasta nell'acqua fredda assieme a un vasetto di condimento e zac, la cena è servita, senza dover scolare la pasta in insidiosi scarichi a mare. Formaggi ed affettati sono in un minuscolo frigo elettrico e per frutta e verdura c'è una pittoresca amaca in miniatura. Menù spartani ma completi dal punto di vista nutrizionale.
Il WC c'è, ma non il solito con la pompetta: è chimico, tipo quelli dei camper, ovviamente senza scarico a mare per minimizzare i buchi nello scafo, però magia! nessun odore. Un liquido sanitario color rosa neutralizza per incanto qualsiasi effluvio.
Nella mia lunga esperienza di barche noleggiate tipo Bavaria, Bénéteau e Dufour, mi ero ormai fossilizzato sull'idea che le barche avessero due vele, fiocco e randa. Qui invece ho dovuto fare uno sforzo di apertura mentale e destreggiarmi fra ben sei vele, di cui cinque a prua. Un delirio.
Ad ogni capriccio del vento, Luca, il nostro formatore/armatore, comandava il cambio dal Solent al Code-Zero, dal Gennaker-1 alla Trinca. Arma la mura, sposta le scotte, ghinda lo stralletto, cazza il frullo. Mi sembrava di essere tornato alle confusioni in testa di quando ero allievo al corso di iniziazione derive...
Una delle cose che mi ha stupito di più è l'assenza totale di grilli. Basta con queste anticaglie, i grilli sono pesanti e scomodi: oggi ci sono i lashing in Dyneema. Incredibile ma vero, anche le sartie volanti e la drizza di randa erano fissate con dei lashing.
Luca mi ha detto: quando torni a casa, comprati un metro di cimetta in Dyneema da due euro, poi fai così ed ecco un bel grillo di dimensione variabile, adatto a qualsiasi riparazione. Sono rimasto affascinato al punto tale che in ogni momento di tranquillità ne approfittavo per ripassare gli intrecci lashing e le impiombature Brummel.
Facciamo due conti: barca senza serbatoi d'acqua, senza grilli né parti metalliche, con albero in carbonio... ma quanto pesa ‘sta barca? 4500 chili, praticamente la metà di un Bénéteau di pari lunghezza. Aggiungi a questo uno scafo planante ed ottieni una barca che fila a 15 nodi come se niente fosse, lasciando dietro di sé una scia che manco un motoscafo se la sogna.
Dopo aver realizzato le potenzialità di una barca così veloce, l’equipaggio propone a Luca di fare il giro della Sardegna. Attimo di silenzio: le dita di Luca scorrono veloci sul tablet per zoomare le mappe meteo, una telefonata al team di terra per la verifica delle previsioni e poi il verdetto: ok, si fa il giro della Sardegna!
Domattina sveglia alle 4:30 e se necessario navigheremo giorno e notte. Tutto l'equipaggio ha avuto una scarica di adrenalina al pensiero di fare 470 miglia in 6 giorni. Mi aspettavo turni estenuanti al timone che però non si son rivelati tali anche grazie ad un utilizzo sensato dell'autopilota.
Nella mia mentalità da locatore di Bavaria, l'autopilota era un oggetto da non usare a vela perché consuma le batterie, ma ho dovuto ricredermi: durante alcuni bordi di lasco a 17 nodi di velocità con un vento a 30 nodi, c'era un circolo virtuoso in quella barca: l'autopilota (sapientemente impostato da Luca in modalità “vento reale”) consentiva di sfruttare meglio il vento: la barca andava più veloce e l'idrogeneratore produceva più energia, che a sua volta alimentava l'autopilota.
Insomma, una sorta di “intelligenza artificiale” che, oltre a far andare veloce la barca, produceva anche energia in eccesso per alimentare il Tablet, la strumentazione elettronica e pure i nostri cellulari che postavano le foto su Facebook mentre planavamo all'alba.
Le lezioni del nostro formatore Luca erano memorabili. “Tu sei il Comandante – diceva – e devi avere un metodo per ogni circostanza”. Un giorno mi ha fatto una domanda a bruciapelo: “Alex, immagina di essere al timone di un Bavaria noleggiato e la signora in dinette ti dice «vieni un po' a vedere, c'è il pavimento della cucina allagato». Tu che fai?”. Uno dei compagni di equipaggio rincara la dose: “a me è capitato veramente qualche anno fa: scolando la pasta il tubo di scarico si era fuso e ha cominciato ad entrare a bordo acqua di mare.
Io sono rimasto muto... Ma il bello di queste lezioni era la concretezza pratica: Luca ha portato in pozzetto una presa-a-mare e ci ha fatto fare l'esercitazione di applicazione del cono turafalle. È stato sorprendente scoprire che il cono non basta affatto, perché lascerebbe entrare zampilli d'acqua, quindi è necessario saper manipolare ed applicare la pasta sigillante.
Luca ha la straordinaria capacità di adattare le lezioni alla tipologia di allievo: a chi è armatore e naviga con famiglia spiega come equipaggiare la propria barca per non gravare sugli ospiti; a chi noleggia le barche spiega come rapportarsi col noleggiatore e come gestire i partecipanti; a chi fa l'istruttore di vela spiega cosa insegnare agli allievi.
Per esempio: anche se poco elegante da dire, sappiamo tutti (ammettiamolo...) che uno degli incubi di ogni velista è il WC intasato. Nell'arco degli anni io ho elaborato un mio metodo che si è sempre rivelato valido: dire ai partecipanti che, in caso di intasamento, la riparazione costa 200 euro a loro carico.
Non mi ero mai posto il problema di dover sturare da solo un WC intasato, anche perché finora mi è sempre andata bene, ma... c'è sempre una prima volta... Luca ha colmato questa mia lacuna portando in pozzetto una pompetta del WC (nuova) e spiegandoci con precisione cosa svitare e come procedere.
La navigazione procede fra lunghi bordi, cambi di vele ed imprevisti di ordinaria amministrazione (scotta di Gennaker sganciata, drizza del Solent incaramellata, etc.)
Nonostante le lunghe tappe, abbiamo anche potuto fermarci a terra qualche notte. Dopo una mattinata di Scirocco a 28 nodi, improvvisamente piatta totale. È entrato un Grecale, ma subito sventato dall'orografia del Gennargentu.
Consapevoli di dover finire la nostra settimana con una bolinata feroce nelle Bocche di Bonifacio, aspettiamo il vento facendo un'altra lezione di manutenzione. Luca dice: “ora vi faccio vedere come si smonta un winch”. Io credevo che portasse in pozzetto un vecchio winch rotto da cannibalizzare, invece porta in pozzetto un cacciavite e si mette a smontare un winch “vero”, proprio quello che fino a pochi minuti prima cazzava la scotta di fiocco! Stupore di tutto l'equipaggio alla vista degli ingranaggi e delle fatidiche levette e mollette che concretizzano il cambio di marcia quando giri la maniglia in senso antiorario.
Scapoliamo l'Isola Asinara ed il Grecale si trasforma in un Levante che forma onda corta nelle Bocche di Bonifacio. È arrivato il momento di usare i ballast. Tiriamo giù il periscopio di caricamento ed azioniamo la pompa elettrica che in sette minuti carica 500 chili d'acqua di mare sulla murata di dritta. È l'equivalente di sette persone fuori dalla falchetta. La barca sbanda di meno, prende più vento ed aumenta la velocità. Fantastico!
“Questa barca è progettata per le regate oceaniche – dice Luca – non è fatta per bolinare, stringe poco e va piano”. Io prendo atto delle sue parole, ma l'occhio cade sulla strumentazione e noto che stiamo stringendo 45 gradi filando a 7 nodi.
Beh, tanto di cappello! Grazie a queste prestazioni, arriviamo a Maddalena prima del tramonto, in tempo per mettere a riva orgogliosamente la bandiera del Centro Velico Caprera.
In questa settimana Luca ci ha dato lezioni di vita oltre a lezioni di mare. Spesso si soffermava su come darsi coraggio e come ordinare le idee: “in certi momenti devi fermarti un attimo a far respirare il cervello” diceva. Quando Luca iniziava una lezione gli dicevo “click, ti metto in pausa” e correvo a prendere il mio taccuino degli appunti per non perdere nessuna parola delle sue preziose lezioni.
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